Negli ultimi tempi si parla tanto di essere multitasking e si sono aperte molte discussioni in merito: è un vantaggio o un danno?
Innanzitutto, diamo una definizione al concetto di multitasking. Oltre che una caratteristica tecnologica, questa parola viene utilizzata anche per descrivere l'atto di compiere più azioni contemporaneamente, svolgere più compiti nello stesso momento.
Una particolare attenzione è stata posta sull'uso di dispositivi elettronici come smartphone, tablet e computer, mentre facciamo altre cose: guardare la tv, leggere, ascoltare musica, lavorare. Gli studi recenti dimostrano, infatti, che la percentuale di persone che usa smartphone e tablet mentre fa altro, è in continuo aumento. Idem per lo svolgimento di tante altre azioni e compiti, che vengono portati avanti contemporaneamente.
Tutto questo comporta un sovraccarico cognitivo e, secondo diversi studi, perfino aumento degli stati ansiosi e depressivi. Disperdiamo energie o le convogliamo in comportamenti e stati negativi.
Ma come siamo arrivati ad essere sempre più vittime di questo comportamento?

La paura di non riuscire a fare tutto ci fa fare troppo

Per descrivere l'ansia e la paura di non riuscire a fare tutto e di rimanere esclusi, è stato coniata perfino un'espressione e un suo acronimo: FOMO. Letteralmente sta per fear of missing out, che in italiano possiamo tradurre come paura di perdersi qualcosa.
In questo, senza dubbio alcuno, sono complici le nuove tecnologie, internet e i social media, che in ogni momento ci mostrano le vite degli altri. O meglio, quello che gli altri ci vogliono mostrare delle proprie vite, che sembrano sempre così piene e interessanti.
Attenzione: non intendiamo additare le nuove tecnologie come le uniche responsabili di questo fenomeno, anche se per certo aiutano a diffondere la spinta continua e costante a voler sempre essere al passo con gli altri. Sappiamo già come siamo condizionati dalle azioni degli altri, perché non siamo separati dal resto del mondo ma persone in continua relazione con le altre, in un sistema. Tendiamo a innescare molto facilmente un confronto che ci porta a pensare di essere mancanti rispetto a quello che fanno gli altri e, quindi, a voler fare sempre di più. Il tempo che abbiamo a disposizione è sempre lo stesso e per questo dobbiamo sovrapporre diverse azioni, se vogliamo riuscire a fare tutto.
Inoltre, le tecnologie hanno facilitato e velocizzato molti compiti e, per questo, anche sul luogo di lavoro finiamo per pretendere che tutte le azioni siano svolte sempre più velocemente. Se sommiamo tutto questo al fatto che l'orario di lavoro si è allungato in nome della produttività sempre crescente e della complessità del mondo che ci circonda, il tempo per noi si riduce ancora di più. Facciamo la spesa mentre controlliamo l'email, guidiamo la macchina e mandiamo un messaggio al partner o al collega, guardiamo la tv e nel mentre leggiamo le pagine Facebook dei nostri amici.
Tutto questo non solo ci affatica e ci fa disperdere una grande quantità di energie, ma nuoce alla capacità di concentrarci, con effetti potenzialmente gravi nel lungo termine. Gli studi in corso stanno cominciando a evidenziare livelli di attenzione sempre più bassi, tanto che leggere un libro per più di pochi minuti, per molte persone comincia a essere un'attività impegnativa. Gli stessi studi, tra cui quelli del Center for Brain Health dell'Università di Dallas (Stati Uniti), evidenziano perfino un aumento del livello di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress, nei soggetti che conducono una vita improntata al multitasking.

Ci serve davvero essere multitasking? La scelta sta a noi

Come già abbiamo detto tante volte nei nostri articoli, non siamo certo fautori della bulimia di azioni. Il counselling e la mediazione familiare sono interventi che mirano alle azioni, al concreto, ma con un approccio ben diverso. Proprio per questo ci sembra molto importante soffermarci su un argomento come questo.
Ci sono situazioni in cui non dipende da noi fare più cose contemporaneamente. Un'urgenza sul lavoro o un contrattempo in famiglia, per esempio, sono casi in cui è possibile che dobbiamo attivarci su più fronti. Devono però essere delle eccezioni e non diventare il nostro stile di vita abituale. Sono, appunto, urgenze o contrattempi.
Il counselling e la mediazione familiare lavorano proprio sul saperci fermare, saperci ascoltare, saper sentire sensazioni ed emozioni, saper ascoltare i nostri bisogni che premono e ci chiedono di essere soddisfatti. Possiamo anche essere in grado di guidare e parlare al cellulare, per esempio, ma qual è il nostro livello di attenzione su entrambe le azioni? Senza dubbio è minore che se portassimo avanti le azioni separatamente, non per una nostra mancanza, ma perché il nostro cervello è strutturato per fare una sola cosa alla volta. Ne deriva che tutto ciò che noi sentiamo, le nostre esperienze e il modo di vedere il mondo, sono modellate su questo e fare troppe cose contemporaneamente non ci fa stare bene.
L'abitudine a fare tante cose assieme, rischia di diventare uno stile di vita anche quando non c'è bisogno. Non ci rendiamo più conto che ci stiamo perdendo qualcosa, ci stiamo abituando ad assaporare sempre meno i momenti che passiamo coi nostri cari, con gli amici, col partner, perché siamo troppo distratti e non più abituati a fare una cosa per volta.
Quando ci troviamo di fronte ai clienti, il percorso che facciamo insieme è proprio quello di soffermarci sugli stati emotivi, su dei fatti avvenuti che non sono stati metabolizzati, proprio perché siamo sempre tutti troppo impegnati a fare tante cose, una insieme all'altra. Non ci prendiamo mai il tempo di fermarci, riflettere, respirare, sentire come stiamo. Come se avessimo paura di restare fuori dalla cerchia di amici, dalla benevolenza del capo in ufficio, come se dovessimo sempre soddisfare aspettative più alte da parte degli altri.
Come ci fa stare questo?
Come ci sentiamo ad abituarci a questo ritmo, a essere risucchiati da questo vortice continuo di azioni?
Vale la pena chiederselo e, soprattutto, essere franchi nella risposta. La scelta di come vogliamo indirizzare la nostra vita dipende solo da noi, anche se la strada che scegliamo è - apparentemente - quella meno battuta e più difficile: potrebbe essere proprio quella che ci fa stare bene.

Parlare di stress è diventato sempre più urgente, perché ci sono studi che lo classificano addirittura come la malattia del secolo. Ecco perché acquisire gli strumenti per fronteggiarlo è la sfida dei giorni nostri. 
Gestire lo stress è diventato quindi un imperativo, anche se non è certo semplice. 
Proviamo, innanzitutto, a darne una definizione: lo stress è uno stato di attivazione psicologica e biologica suscitato dalla presenza di stimoli che siano significativi a livello emozionale per ognuno di noi. Questi stimoli generano in noi una energia che dobbiamo liberare, per compiere le azioni che soddisfino i nostri bisogni. 
Questo significa che possiamo considerarlo in parte positivo (eustress), quando a causa degli stimoli esterni anche intensi, riusciamo ad attivare reazioni che ci portino al raggiungimento di un obiettivo, senza conseguenze negative. Il problema sorge quando abbiamo un bisogno, attiviamo le energie per soddisfarlo, ma non riusciamo a farlo. 
Per fare un esempio pratico, immaginiamo dei corridori ai blocchi di partenza. Lo starter li avvisa, gli atleti raccolgono tutte le energie necessarie nel momento di massima tensione e concentrazione, scattano ma la partenza è falsa e si devono fermare. Non possono, quindi, dar sfogo a tutta la potenza agonistica. Possiamo immaginare un meccanismo simile quando parliamo di stress: non riusciamo a dare sfogo alle nostre energie, per soddisfare un nostro bisogno e nel lungo periodo questo ci affatica.

Cause dello stress

Le cause dello stress sono molteplici perché dipendono da fattori strettamente individuali. Non si può quindi fare una vera e propria classifica, ma è indubbio che tra le fonti più indicate ci siano il lavoro e la famiglia. 
Viviamo un'epoca di grandi cambiamenti sociali, in cui ci vengono richieste prestazioni sempre più performanti in tutti i campi, ma al contempo i fattori di precarietà sono sempre più evidenti. Specialmente in campo lavorativo, al momento attuale non sentiamo parlare d’altro che di precarietà. È evidente che questo continuo stato di incertezza faciliti il senso di preoccupazione e frustrazione. Al contempo, o le famiglie hanno grandi aspettative su di noi e ci mettono pressione anche involontariamente, o siamo noi che a causa di questa precarietà lavorativa ci sentiamo preoccupati nell'ambito familiare. Insomma, sembra il classico caso del cane che si morde la coda. Se pensiamo poi all'alta competizione di alcuni ambienti lavorativi, è facile immaginare come molte persone si sentano continuamente sotto pressione. 
Districare questo groviglio sembra impresa ardua e, in parte, lo è, ma la buona notizia è che non è impossibile. Capita a tutti di avere momenti più pesanti da affrontare, ma il modo per trovare nuovamente un equilibrio c’è. Che riusciamo da soli o con il supporto di un professionista come un counselor e mediatore familiare, l'importante è seguire una serie di passi.


Come capire danni ed effetti?

Facciamo un punto per capire meglio cosa significhi rischiare di avere danni da stress. 
Innanzitutto, non scambiamo dei momenti di grande sollecitazione e di sforzi come qualcosa di irreversibile e dannoso. Può capitare di attraversare momenti in cui dobbiamo affrontare dei cambiamenti impegnativi, che magari ci affaticano. Se riusciamo a recuperare le forze e il riposo mentale e fisico dopo dei periodi intensi, non dobbiamo preoccuparci. 
Il problema dovremmo porcelo se i periodi in cui ci sentiamo sotto pressione sono lunghi e non ne intravediamo la fine, se siamo costantemente preoccupati, ansiosi, suscettibili, stanchi. In questo caso è bene sapere che lo stress prolungato, può causare degli effetti nel lungo periodo. 
Gli effetti dello stress non gestito si vedono a livello emotivo, cognitivo e comportamentale.

  • Effetti emotivi dello stress eccessivo
    Tra i vari effetti emotivi possiamo ricordare un aumento della tensione fisica e psicologica, un'eccessiva preoccupazione per eventuali malattie, un indebolimento dei vincoli emozionali, malumore continuo e una perdita di autostima.
  • Effetti cognitivi dello stress eccessivo
    A livello cognitivo, lo stress prolungato può causare un abbassamento della concentrazione e dell'attenzione, facilità a distrarsi, un progressivo indebolimento della memoria a breve e lungo termine, una maggiore frequenza di errore e una sempre minore capacità organizzativa e di pianificazione
  • Effetti comportamentali dello stress eccessivo
    In ultimo, tra gli effetti comportamentali, possiamo menzionare un aumento dei problemi della verbalizzazione (come, per esempio, la balbuzie), una diminuzione degli interessi e dell’entusiasmo, l’aumento dei consumi di sostanze come alcol, nicotina e altre, un calo generale dell’energia, disturbi del sonno e un aumento di atteggiamenti ostili o cinici verso chi ci circonda (per esempio colleghi, clienti, o anche amici).

Questi sono solo alcuni degli effetti indesiderati che possiamo avere se siamo vittime di stress prolungato e molto forte. Ecco perché è utile provare qualche metodo per poterlo tenere a bada. Vediamo come.


Piccole strategie antistress

In tanti parlano di tecniche antistress, ma prima di metterle in pratica ci sono alcuni passaggi che non sono per niente scontati. 
Ritorna anche qui il tema delle emozioni: quanto ci soffermiamo ad ascoltare (non solo sentire) le nostre emozioni? Cosa ci stanno dicendo? Se siamo tristi, preoccupati, ansiosi, cosa ci fa sentire così? 
Attraverso l’espressione emotiva siamo in grado di capire di cosa abbiamo bisogno. Lo stress deriva dal fatto che non stiamo soddisfacendo un bisogno per noi importante e, nel lungo periodo, divora le nostre energie. Fermarci a sentire di cosa abbiamo davvero bisogno, è il punto di partenza per la nostra personale strategia antistress.
Dopo aver ascoltato emozioni e bisogni, la parola d’ordine è mobilitazione: attivarci per fare qualcosa che cambi la situazione. Non è affatto semplice, perché nei periodi di forte affaticamento siamo soggetti ad apatia e inerzia. Già il fatto che ci mettiamo in moto per provare a disinnescare questa situazione che ci soffoca, è un ottimo punto di partenza. Significa che abbiamo consapevolezza del nostro malessere, anche se non sappiamo dargli un nome o capire come venirne fuori. Per questo è utile rivolgersi a un professionista come un counselor e mediatore familiare. L’esperto di relazione di aiuto può darci supporto per la fase successiva, quella della comprensione. In questa fase sarà necessario chiederci:

  • quali sono gli stimoli disturbanti?
  • cosa bisogna fare perché esercitino meno pressione?

A questo punto, dopo averci riflettuto, possiamo fare un elenco di tutto ciò che ci fa sentire sotto pressione. Un elenco molto dettagliato, che sia in grado di dare una dimensione più concreta possibile a ciò che ci fa male. Per esempio, non basterà dire che la causa di stress è il lavoro, ma è bene esplicitare: un comportamento del capo, l'atteggiamento di un collega, un cliente in particolare che si comporta in modo sgradevole, il fatto che dobbiamo stare troppo tempo nel traffico per raggiungere l'ufficio. Ecco che torna sempre un tema centrale, quello della consapevolezza. Più siamo consapevoli di cosa ci rende sereni e di cosa ci rende irrequieti, più siamo in grado di mettere in atto comportamenti e strategie per stare meglio.

Azioni antistress quotidiane

Ci sono poi altre azioni concrete e buone pratiche, che sono utilissime. 
L’attività fisica è un vero toccasana, perché mette in moto ormoni come l’endorfina e abbassa il cortisolo, cosiddetto ormone dello stress. Se non c’è tempo per iscriversi in palestra, troviamo il modo di andare al lavoro in bici o a piedi, anche solo per un tratto, fare una passeggiata dopo il lavoro o nei weekend. 
Ritagliamoci anche uno spazio per fare esercizi di respirazione, bastano davvero pochi minuti al giorno, possiamo farli ovunque e gli effetti benefici sono pressoché immediati. 
Ma più di tutto cerchiamo sempre di affrontare il problema, non teniamocelo dentro ma condividiamolo. Talvolta anche solo parlarne con amici ci fa rendere conto che anche altre persone hanno una situazione simile e magari possono darci dei consigli, o anche solo empatizzare e farci sentire compresi. Questo è in grado di attivare in noi maggiori livelli di autostima, che ci portano ad avere una visione più lucida e trovare una soluzione. 
Quando tutto questo è difficile farlo da soli – perché sì, non è facile – ci sono i professionisti che possono darci una mano. Counselling e mediazione familiare nascono proprio per dare un supporto a chi non riesce da solo a gestire dei problemi, anche piccoli. 
Gestire lo stress è una cosa importante, da non sottovalutare. Non dobbiamo cadere nell'errore di pensare che siamo troppo deboli perché non sopportiamo sollecitazioni esterne. Dobbiamo invece saper chiedere aiuto senza timori, anche a un professionista, se necessario.

 

Sempre più spesso ci sentiamo in affanno per le troppe cose da fare e, intorno a noi, tutti quelli che conosciamo sono sempre di corsa, come e più di noi. Il mondo in cui viviamo ci impone questi ritmi frenetici in cui trovare un momento per fermarci sembra diventato impossibile. Il lavoro, i bambini da crescere e seguire, il corso di aggiornamento, la spesa, i panni da mettere in lavatrice, la cena con i colleghi… e noi? Come stiamo noi? Non abbiamo nemmeno il tempo per chiedercelo, perché siamo troppo stanchi ma comunque pensiamo che non dobbiamo fermarci mai. Certi impegni sono imprescindibili, ma nulla dovrebbe impedirci di ritagliarci uno spazio in cui prendere un bel respiro. Anzi, più di uno.

 

Il respiro consapevole: far fluire le emozioni

Facciamo una prova: se ci prendiamo 10 minuti, solo 10 minuti, e ci sediamo sulla nostra sedia o poltrona preferita, chiudiamo gli occhi e ascoltiamo il nostro respiro, che succede? Sicuramente siamo in grado di sentirne il ritmo e capire se è veloce, se è affannoso oppure lento. Concentriamoci ora sull’equilibrare inspirazione ed espirazione e poi sulle nostre emozioni. Cosa proviamo? Cosa sentiamo davvero? Sono sensazioni positive o negative? Ascoltando il respiro, ci renderemo conto se è rilassato o corto, veloce o lento. Questo ci dice molto di cosa succede dentro di noi. Solo prendendo tempo possiamo capire cosa ci dice il nostro corpo e la nostra mente, di cosa abbiamo bisogno, possiamo goderci un momento bello e piacevole anziché farcelo passare davanti e negarci la gioia di viverlo, celebrarlo. Vale lo stesso se ci accorgiamo di sentire un’emozione negativa: siamo in grado di focalizzarla, capire di cosa si tratti e da dove venga, cosa ci abbia fatto sentire così. Immaginiamo, allora, di avvolgerla con il nostro respiro e di lasciarla andare ogni volta che espiriamo. Buttiamo fuori un po’ per volta l’ansia, la tristezza, la preoccupazione, la rabbia, soffiamola via. Funziona, vero? Ci sono tante ragioni per cui la respirazione è un vero e proprio strumento di benessere. Vediamone alcune.

Espirare e inspirare: dare e ricevere

Come abbiamo detto, il respiro dice molto di noi e di come stiamo. Evidenzia se ci sono dei blocchi emozionali, per esempio. Nell’ottica psicologica, il respiro è legato anche al meccanismo di dare e ricevere. Inspirare è simbolo del prendere, del ricevere; al contrario, espirare significa dare e anche lasciare andare. L’equilibrio tra dare e ricevere è fondamentale per ogni essere umano e si riflette nel nostro respiro. Voler prendere troppo è sintomo di avidità a cui deve essere controbilanciata una giusta capacità di dare agli altri, all’ambiente che ci circonda. Allo stesso modo, dare tanto senza volere in cambio non ci fa bene. Riuscire a trovare un equilibrio tra inspirazione ed espirazione è in grado di riportarci a un equilibrio anche tra dare e ricevere, perché ci rimette in equilibrio con noi stessi.

Ossigeno per il corpo e per la mente

Sappiamo che respirare ci permette di ossigenarci, perciò respirare in maniera consapevole ci permette di ossigenarci di più e meglio. Portare più ossigeno ai nostri polmoni significa aumentarlo nel sangue e migliorare la pressione arteriosa e il ritmo del nostro battito cardiaco. Quando siamo ansiosi il ritmo del nostro cuore è accelerato o irregolare e questo, a lungo andare, è dannoso per il nostro organismo. Prenderci del tempo per inspirare ed espirare più a lungo permette una maggiore ossigenazione del nostro organismo e un rilassamento. Così siamo in grado di riequilibrare anche quello che viene chiamato “ormone dello stress”: il cortisolo. Gestire il respiro, infatti, ci permette di avere un’attività aerobica efficace, che interviene anche sul nostro equilibrio ormonale.

Il diaframma, il nostro centro di distribuzione dell’energia

Il diaframma è il muscolo che tutti abbiamo e ci permette di gonfiare e sgonfiare la nostra cavità toracica per riempirla e svuotarla di aria. Di fatto è il principale attore della nostra respirazione. Senza nemmeno accorgerci, impariamo fin da piccoli a limitarne la funzionalità per un meccanismo di difesa. Facciamoci caso: quando siamo arrabbiati, ansiosi, preoccupati, il nostro respiro è più corto e affaticato. Questo significa che non ci stiamo prendendo la giusta pausa tra inspirazione ed espirazione, il nostro diaframma si contrae più velocemente per far entrare e uscire l’aria. Questo fa sì che non solo distribuisca ossigeno, ma dosi di conseguenza l’energia da irradiare al nostro organismo. Pensiamo a quanto sia importante la respirazione per una donna che partorisce: anche dosando la respirazione e la spinta del diaframma, una donna è in grado di indirizzare tutte le energie necessarie per dare luce a una vita. Ecco che comprendiamo la potenza del nostro respiro, quanto sia legato a come distribuiamo l’energia al resto del corpo. Concentrarsi su di esso ci permette di rallentare, di focalizzare meglio cosa ci turba e, al contempo, di vedere più nitidamente quali risorse possiamo utilizzare per trovare una soluzione. Una pausa in compagnia del nostro respiro ci permette di chiederci come impiegare al meglio le nostre energie, indirizzandole verso una soluzione positiva, anziché caricarle di ulteriore stress.

Muscoli contratti, addio

Spesso i nostri stati emotivi di turbamento sono connessi anche a disturbi fisici. Uno dei più frequenti è contrarre i muscoli di alcune zone del corpo, per esempio spalle e collo. Per sciogliere le tensioni possiamo ricorrere a un massaggio, per esempio. Ma questo è un modo che interviene da fuori; respirare in modo consapevole ci aiuta a sciogliere queste contratture da dentro, rendendo più efficace l’azione. Sentirsi meglio fisicamente ci dà una sensazione di benessere generale, ci predispone a concentrarci più positivamente sulle cose che abbiamo in mente e trovare le risorse più adeguate per affrontarle. Il nostro stato psicofisico generale migliora e ci mette in condizione di essere più sereni.

 

Counselling e mediazione familiare: come lavorano sul respiro?

Ora che abbiamo più chiaro perché respirare in modo consapevole è importante, ci è più semplice intuire per quali ragioni un professionista della relazione d’aiuto possa chiederci di soffermarci a respirare. Come abbiamo visto ci sembra un’azione così scontata, eppure non ci rendiamo conto di quanto influisca negativamente se incontrollato. Ci sono tantissime tecniche di respirazione, usate fin dall’antichità da discipline e filosofie orientali, quanto da pratiche di concentrazione e meditazione occidentali. Il counselling e la mediazione familiare naturalmente non sono corsi di meditazione, né hanno pretesa di sostituirsi ad altre discipline. Ne mutuano però alcune tecniche al solo scopo di rendere i clienti più consapevoli del proprio stato emotivo. È importantissimo che i clienti siano in grado di riconnettersi con lo strato più profondo di se stessi, per portare fuori tutto il necessario alla risoluzione del problema. Anche riuscire a utilizzare la respirazione come risorsa è un primo passo verso la crescita e la consapevolezza di poter affrontare tutto ciò che ci turba.

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